Qualità delle acque e fertilità del mare

Mytilus galloprovincialis cod FAO ALPHA3: MSM

G. Orel e A. Zentilin

Pare che un’attività di ostreicoltura in forma organizzata sia stata presente nella Baia di Muggia almeno dal 1600. Alla fine del 1800 essa dava da vivere ad una trentina di famiglie. Un sottoprodotto di tale coltura era costituito dai mitili che per la vendita venivano affidati ad ambulanti che li vendevano a chilo, mentre le ostriche venivano affidate a ristoratori o a commercianti che le vendevano a dozzina. La storiografia ufficiale italiana vuole che siano state Taranto, Napoli e La Spezia le prime località dove è stata sviluppata una mitilicoltura organizzata. Per le caratteristiche strutturali dell’Adriatico è molto verosimile invece che siano state le popolazioni della costa istriana e dalmata ad iniziare per prime la coltura delle ostriche e soprattutto dei mitili. Da quanto si è detto in precedenti incontri e per quello che si dirà in seguito apparirà evidente che le più importanti produzioni italiane di molluschi filtratori come i Caperozzoli, le Vongole veraci, le Capelonghe, le Capesante, i Canestrelli, … provengono dall’Alto Adriatico. La produzione di Fasolari proviene esclusivamente da questo sottobacino.

Attorno al 1980, i soli Caperozzoli adriatici costituivano il 10% della produzione ittica italiana. Ciò accade perché l’Alto Adriatico è un mare verde, ricco di plancton vegetale ed animale, ricco di pascolo perciò per tutti gli organismi che si nutrono di sospensioni. Il Mediterraneo è invece un mare azzurro, dalle acque trasparenti proprio per la loro povertà di sospensioni, incapace perciò di sostenere folte popolazioni di organismi filtratori come quelli di cui si parla. Ecco quindi perché è più probabile che le prime colture organizzate di molluschi filtratori siano nate proprio nell’Alto Adriatico. Ed è proprio da una di queste località, il Canale di Leme, che l’allevamento dei mitili ritorna nella Baia di Muggia come protagonista principale e si estende poi al Golfo di Trieste.

Sono lo spezzino Pietro Canova ed il Dott. Giuseppe Morena, produttori a Leme, che nel 1929 si incaricano di questo trasferimento, iniziando un allevamento presso Muggia, in prossimità di un bagno pubblico detto “Postogna”. Oltre che dei pali di coltura, l’impianto era dotato di un pontile e di un “casone” costruito su palafitte, sotto il cui pavimento potevano quindi essere immersi i mitili da “lavorare” o da stabulare. Da qui, nel 1950, l’allevamento su pali viene replicato nella cosiddetta Valle del Principe, presso Punta Ronco, nella Baia di Grignano, ad opera del Morena, fuori della Baia di Sistiana, ad opera del Castelreggio, proprietario dell’omonimo ristorante e nella Baia di Panzano ad opera degli esuli istriani, ospitati nel Villaggio del Pescatore di Duino Aurisina. Nel frattempo i pali di quercia, provenienti in origine dai boschi di Beka, presso San Servolo, erano stati sostituiti dai più lunghi pali d’acacia, provenienti da Dolegna del Collio. Nel 1965 la graduale sostituzione degli allevamenti su pali con allevamenti su barili galleggianti in vetroresina (a Leme erano già stati usati barili in ferro) fece lievitare la produzione da circa 20 Kg/mq a 70 Kg/mq, rilanciando alla grande il settore e, con altre piccole innovazioni si arrivò a produrre oltre 100 Kg di mitili al metro quadrato.

Questo stato di grazia non durò a lungo perchè il colera di Napoli del1973, le difficoltà di adattamento indotte dalla Legge 192/77, il primo episodio di “mare sporco” dell’era mediatica nel 1988, il primo di biotossine diarroiche (DSP) nel 1989 ed il modo inadeguato in cui il problema fu affrontato dalle locali autorità sanitarie nonché i D. Lvo 530/92 e successivi adempimenti ed aggiustamenti determinarono crisi produttive più o meno lunghe del settore. Dall’inizio del 2000 esso sembra essersi ormai ripreso anche per merito di interventi europei e regionali, attuati attraverso la CCIAA di Trieste… ma tutto ciò e le evoluzioni che permettono di tutelare la salubrità dei “pedoci de Trieste” e la salute del consumatore ve lo racconteremo nel prossimo numero.

Racconta un vecchio adagio marinaro: quando i bambini nascono la mamma insegna loro che in ogni serpente si nasconde il diavolo e che mangiare pedoci fa mal.

Tratto dal mensile “qbquantobasta”

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